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Un contrasto tra Wojtyla e Lévinas sul rapporto con l’altro

Attingendo al saggio del dott. Carlo Lottieri, Dall’ontologia della cosa all’etica dell’altro, vorrei proporre una breve riflessione riguardo una differenza tra Emanuel Lévinas e Karol Wojtyla sul rapporto con l’altro.

Nell’introduzione di «Persona e atto» di Karol Wojtyla (dall’antologia Metafisica della persona, a cura di G. Reale e T. Styczen, Bompiani, Milano 2003) Wojtyla considera come si viene a conoscere qualcosa dell’altro come uomo, come persona.  Nella prima sezione dell’introduzione considera cosa vuol dire «sperimentare l’uomo» ovvero «l’esperienza dell’uomo», e nota che nello sperimentare l’altro si sperimenta pure se stessi.  Cioè, nell’atto conoscitivo dello sperimentare l’altro come uomo, come esteriorità, si sperimenta se stessi simultaneamente sia come interiorità sia come esteriorità.

Per Wotyla allora, nella fenomenologia dell’altro si sperimenta pure se stessi fenomenologicamente, almeno in parte, come «altro». È da questa prospettiva dell’osservatore su di sé, sia come «uomo» che come «altro», che si può capire l’altro come «uomo». È poi da questo punto di vista che si viene ad intendere qualcosa dell’altro come «persona», dagli atti che l’altro compie.  Questa conoscenza deriva da un rapporto intrinsecamente simmetrico con l’altro, simmetrico nel senso che in un certo modo si sperimenta sia l’altro sia se stessi nella stessa maniera.

Mentre consideravo quest’argomento ho pensato al saggio di Lottieri proprio su come Lévinas considera l’altro come trascendente in modo asimmetrico rispetto a se stessi.  L’altro eccede sempre la mia capacità conoscitiva e quindi ci rimane sempre un rapporto asimmetrico (in modo reciproco, s’intende) con l’altro.  Da quando ho letto e tradotto il saggio sono rimasto un po’ perplesso come si possa mai avere un rapporto sociale più o meno uguale con l’altro, se in ogni modo l’altro sempre mi trascende.  Purtroppo non ho ancora avuto il tempo di leggere Lévinas per capire come risolva la domanda.

(In un breve scambio di mail col dott. Lottieri m’ha indicato che in Lévinas l’uguaglianza e la giustizia entrano con il terzo, cioè l’altro dell’altro.  Quindi dai suoi commenti pare che l’uguaglianza sia un rapporto non tanto interpersonale quanto societario.  Qui c’è da approfondire senza dubbio.)

Riflettendo sull’argomento di Wojtyla, mi domando se il suo approccio non preservi qualcosa d’un uguaglianza essenziale del rapporto con l’altro, basato proprio sul modo di sperimentarlo. Cioè, conoscere l’altro significa conoscere me stesso, e senza l’altro non posso neanche conoscere me stesso.  Sì, è vero che l’altro m’eccede sempre, ma è anche vero che in qualche modo io m’eccedo sempre a me stesso in quanto mi sperimento come «altro».

Mantenere una tale simmetria nei rapporti altrui non mi sembra problematico in quanto non credo che ci voglia necessariamente una trascendente asimmetria levinasiana perché non si sfrutti l’altro.  Mi pare che non è tanto la simmetria stessa il problema quanto una simmetria che possa divenire asimmetrica nell’diminuire l’altro.

È appunto perché il rapporto con l’altro è essenzialmente allo stesso tempo simmetrico, trascendente e auto-riflessivo nel modo di conoscerci l’un l’altro che non sono libero di negare l’altro, di definirlo inferiore.  Ne segue appunto che negando l’altro nego me stesso.  Nel definire inferiore l’altro, mi definisco inferiore.

Questa qualità auto-riferente del mio rapporto con l’altro nel pensiero di Wojtyla mi pare un punto cardinale della sua etica.  Insomma non credo che cambii la conclusione del saggio di Lottieri in quanto l’altro, in contrasto alla visione della persona sotto l’ottica moderna, rimane sempre trascendente.  Volevo però mettere in rilievo questa distinzione tra Wojtyla e Lévinas per meglio riflettere sugli eventuali esiti diversi dei loro sistemi etici.

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